giovedì 26 giugno 2008

VIAGGIO, NAUFRAGIO E NOZZE DI FERDINANDO PRINCIPE DI NAPOLI di Carlo Presotto e Titino Carrara da W. Shakespeare

PRIMEPAROLE. Nave scomposta e ventre all'aria ventre gonfio d'acqua scura. Tempesta stoffa. Benvenuti in questo circo di rumori in cui le gocce sono pietre d'avventura, scagliate a tutta forza contro il vento. Sirena canta e cantano gli scogli. Isola bruna.

Ammassati, sperduti nella sala del Real Albergo dei Poveri. Fuori-luogo come abbiamo capito capita in questa Festa del teatrovunque. Due soste distinte e poi l'approdo al posto sicuro di spettatori convenzionali. Prima il sonno del vecchio Prospero, poi il suo sogno, fatto di tempeste e spiriti vorticanti. Figura concitata di un naufragio architettato. Speso e narrato con potenza d'incantesimo. Riconosciamo, disgustosa e curva, la figura di Calibano, mentre di Ariel ce ne sono quattro, vestiti come da sognatori sonnambuli in pigiama, entusiasti per questa loro fantasia. Il resto della vicenda si svolge nell'arena, l'osserviamo seduti, comodi e privilegiati, mentre davanti si scopre scena fatta a frammenti di nave in disastro. Scopriamo quattro diversi Prospero, uno per ogni ruolo, da padre a stregone, da sovrano spodestato a giullare che racconta disegnando favole a una Miranda incredula di tutto. Con quest'ultima compare Ferdinando, due innamorati bambini, ingenui che fanno ridere gli spettri, s'innamorano al suono della reciproca voce, mentre sopra quella di tutti gli altri arriva la lirica (di canto come di movimenti) di una delle Ariel (Arianna Moro), fatta davvero “della stessa sostanza di cui son fatti i sogni”. C'è spazio per Calibano laido e “bestio”, che parla una vulgata medievale mista a spagnolo maccheronico, con movenze da Commedia dell'Arte, c'è spazio per il teatro itinerante e il teatro ragazzi che si mescola a quello dei burattini (degli Accettella), c'è spazio per l'ambiente videoproiettato e l'incursione – inserita ad arte nella vicenda – degli aeroplani che partono e atterrano rumorosamente a Napoli. Nessun faro getta coni di luce invano, in questa enorme produzione in bilico tra un ricco percorso visivo e sonoro, un parco giochi festoso e un circo con qualche numero sbilenco. Eppure quest'“Isola che non c'è” è forse troppo vivace, dimentica a volte di quel cupo sapore di inesorabilità che Shakespeare aveva distillato insieme alla malinconia del sogno, in questa sua ultima “Tempesta”.

Sergio Lo Gatto

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