venerdì 27 giugno 2008

Another sleepy dusty delta day, la ballata di Bobbie Gentry

Another sleepy dusty delta day
Quando arriva, la danza non è una danza, è un pestaggio, lo stupratore è la musica che batte i colpi e le insinua l’epilessia sotto la pelle, le disarticola i muscoli e le scuote le spalle di spasimi, oppure la blocca davanti alle gabbie appese al soffitto, improvvisamente graziosa e stupida come un cigno. Prima c’era una ragazza che leggeva una lettera, felice di essere chiamata mia principessa, come tutte le donne dai sei anni in poi, che lo ammettano o no, una ragazza che piega e spiega, bacia e ribacia il foglio azzurro macchiato da dove sale ancora tutto quel dolore.
Quello di lui è un addio semplicissimo, e ben argomentato: facciamola finita con la paura, con la corazza di bugie necessarie per non lasciar penetrate le ferite troppo a fondo, basta anche con il ricatto dell’amore, meglio concentrare tutta la morte in una volta sola, in un tuffo. Niente di eroico o di politico, solo un piccolo passo da un ponte mentre nessuno vede.
Nessuna tenerezza per questo corpo, chissà se finirà gonfiato dall’acqua come un mostro blu o in polvere come un vecchio scheletro tarlato.
E intanto il viso di lei si sporca di carbone, e i denti bloccano il trenino finto delle rassicuranti domeniche in famiglia, e la fidanzatina carina Hollie Hobby si trasforma in Hukleberry Finn che fa i dispetti ai fratelli per non piangere, e le mani cercano il freddo della bottiglia, la birra finisce in mezzo alle gambe a fare pipì contro il muro come in un gioco scemo di bambini.
"Povero Billy Joe, chi l’avrebbe mai detto: una fetta di torta di mele o due?" commentano i genitori a cena.
Sollievo l’una nell’altro, riposo l’uno nell’altra, ecco cos’ hanno buttato come un fagotto sporco dal ponte Billy Joe e la sua ragazza, dice la canzone di Bobbie Gentry che ha ispirato il lavoro di Jan Fabre. "Era il tre giugno, un’altra sonnolenta polverosa giornata nel Delta". Resta la noia dei pomeriggi che non finiscono e (di chi è la colpa?) la stonatura spaventosa delle poche parole in italiano. Non si spezza un sogno, non si interrompe un’emozione, si diceva dei film in tv aperti in due come una cozza dagli spot; le marche della birra, gli ammiccamenti in italiano della (per il resto bravissima) protagonista uccidono tutto, interrompono l’alta tensione in sala creata dalla lucida follia del francese, spezzano il fiato all’attesa e ricacciano tutto nel banale. Per favore, non risparmiateci la fatica dei sottotitoli.

Silvia Guidi, lettera22

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