mercoledì 25 giugno 2008

De entre la luna y los hombres

Sto in piedi tra gli uomini e la luna,
vi ammalio con le mani e vi illudo con gli occhi
non vi accorgete che sono le mie gambe a sostenermi,
i miei piedi frenetici e i miei polpacci tozzi,
sembrano spaesati ma vi stanno parlando:
stanno dicendo cos'è veramente una donna.


Mujeres al centro del mondo, non hanno bisogno di fronzoli e colori per raccontare la loro tragedia di femmina, di pulsioni e sensazioni che sovrastano il corpo. Fuensanta “La Moneta” ubriaca il pubblico di sorprese fatte di scatti, di occhi cerulei che si congelano mentre la punta del piede batte il ritmo finale, di ghiacci muliebri che riscaldano il cuore delle donne che guardano. Ognuna si ritrova in quei movimenti inquieti ma consapevoli, nei passi rapidi, affannati, eleganti, nelle movenze sensuali delle dita, gli schiocchi, nella fronte corrucciata per un dolore che non può arrivare alle labbra perché altrimenti non ci sarebbe ritorno. Non è uno spettacolo per femministe tristi questo; qui la donna trionfa nelle sue curve, nei fianchi e nella morbidezza di braccia che non hanno bisogno di muscoli e durezza per dominare il mondo, per prendersi la scena. L'essere androgino qui non esiste; non può avere spazio, la competizione lo soffocherebbe, il suo unico posto è sul retro, confuso tra le linee delle mani di chi danza e nascosto tra le note di colei che canta piangendo: Eva Duran. La musica degli strumenti in mano ai cinque uomini è stupenda perché sottomessa alla volontà delle due che gli fanno cenni con la testa, che li dirigono, che determinano la loro bellezza volteggiando su ciò che essi producono. Senza di loro sarebbe solo un po' di musica spagnola capitata per caso al Teatro Sannazzaro, invece gli viene data la possibilità di far parte di un rito. Il regista Hansel Cereza è riuscito a costruire uno spettacolo completo, impossibile da etichettare, non si tratta solo di flamenco, non si tratta solo di commistioni di musicalità, tzigane, spagnole, indiane, arabe, non si tratta solo di incontro tra generi, teatro, musica, tecnologia. Si tratta di una ritualità: l'espressione intima degli artisti si intreccia con quella degli spettatori, c'è una comunicazione inevitabile, la mente di chi guarda è inebriata dai movimenti frenetici di chi schiocca le dita, i sensi sono posseduti dai ritmi battuti dai piedi. Il pubblico ha sempre bisogno di applaudire, sente il pressante bisogno di partecipare,di condividere il momento, di manifestare la propria presenza. Nel corso dei novanta minuti si avverte l'aumentare del caos molecolare, dell'energia che viaggia tra la platea e il palco, fa caldo ma non si riesce a stare fermi. Poi d'improvviso finisce. Buio. Si esce. Fa caldo. Qualcuno sbatte i tacchi per terra, schiocca le dita e poi ride.

Serenella Martufi

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