mercoledì 25 giugno 2008

Proprio come se nulla fosse avvenuto

Piedi bagnati, putridi, soffocati
per corpi inesistenti. Un presepe di fantasmi
senza volto, senza aria, senza sangue,
le linee delle loro mani sono illeggibili,
estranee, le inventiamo
ma non conosciamo la forza del pugno.

L’universo di Roberto Andò immerso in piccoli stagni, singoli brodi primordiali da cui sembra nascerà qualcuno, qualcosa di grande, o per lo meno da cui si manifesterà una vita. Le cellule sommerse invece non sembrano volersi aggregare e la miriade di volti, di azioni paralizzate che fanno da scenografia a questo allestimento rimangono imperterriti al loro destino. Un qualcosa nel loro organismo non funziona, non gli da la possibilità di nutrirsi della stessa linfa vitale di cui può cibarsi chi sta fuori, chi guarda dall’esterno e ha il privilegio di non sentire l’umido tra le dita dei piedi. Anche qui alla Darsena Acton è stata compiuta un’irreversibile scissone tra chi vive il mondo e tra chi lo racconta. Un teatro in cui ci si specchia piuttosto che un teatro in cui si diventa. Anna Bonaiuto si aggira tra i vicoli asciutti come una dea romantica, un libro tra le mani, occhiali, capelli perfetti, occhi refrattari a ciò che vedono. Il suo respiro è diverso da quello di chi la guarda passare, che per un’ora aspetta il momento di levare i piedi da quelle pozzanghere a cui è stato costretto in nome della poesia. Questa discrepanza di ritmi vitali è funzionale al significato dello spettacolo indubbiamente ma non sorprende, non da una nuova prospettiva, ripete incessantemente che ci sono persone che stanno male, che hanno paura, che non possono fuggire dalla loro condizione non importa le navi che prendono. Questo però già si sapeva, e forse di questo dolore si è detto anche di più,si è scesi più a fondo. Gli stessi autori citati hanno scavato nella loro carne di visitatori o di napoletani privilegiati per farsi un esame di coscienza, rispetto a questi movimenti rarefatti e lenti si è già capito di più. La grandiosità della messa in scena sembra annunciare un’interpretazione collettiva come mai prima, Napoli come città fatta di persone e non di concetti, di sguardi di filantropia. Invece no, anche qui alla Darsena Acton si rimane impigliati in una retorica su Napoli fatta di sguardi, di cose intrasentite, di cose interpretate per il gusto di sentirsi poeti. Non si ascolta mai quello che deve dire colui che stiamo osservando, siamo portati già a formulare un nostro giudizio. La scena viene smossa dalla processione, dal movimento oceanico di attori e spettatori che seguono un santo poco convinto del suo ruolo di annunciatore di morte. Si continua ad aspettare un culmine, un qualcosa che sconvolgerà, che veramente farà acuire i nostri sensi, ma niente. Rimane lo sfarzo di un racconto povero e di dolore. Purtroppo la quantità di errori tecnici che si susseguono durante i novanta minuti di rappresentazione danno anche l’idea che confidando nell’abbaglio dell’enormità della scena, il pubblico e la storia potessero essere un po’ tralasciati. Tanto siamo all’aperto e vi diciamo che la libertà è solo un respiro.

Serenella Martufi

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