venerdì 20 giugno 2008

Le Troiane al Teatro Mercadante.

Mascelle serrate vibrano tra il riso ed il pianto.
Zigomi marmorei implorano pietà.
Arti legati e gambe spezzate.
L’eco di piccoli busti mutilati.
La guerra, le donne ed i bambini. La drammatica trasversalità del topos tragico di Euripide ha permesso alla Compagnia Teatrale Europea di portare in scena questo classico travalicando qualsiasi barriere linguistica. Ogni singolo idioma viene usato per un’espressione che dovrebbe andare al di là della parola. Le ferite aperte dalla guerra sono in realtà l’elemento comunicativo rilevante di questa messa in scena. La sofferenza dei vinti e lo spaesamento grottesco dei vincitori comunicano allo spettatore più di qualsiasi regola lessicale, grammaticale o fonetica. Le donne hanno un viso impietrito dal dolore qualunque sia il loro parlare, e gli uomini manifestano invece “una deficienza” intellettuale che non può essere compensata neanche dal loro servizio di traduttori simultanei per i dialoghi tra i vari personaggi. La devastazione intima provocata della guerra è nel sostrato di tutti i monologhi delle donne. La lingua non è rilevante, sono i corpi che ci parlano, corpi di madri mutilate, di mogli violentate o di bellezze condannate per nient’altro fuorché per l’essere donna, quindi deboli, quindi vittime. La provenienza linguistica e culturale delle attrici diventa un tutt’uno con le loro sembianze, qualsiasi lingua esse pratichino quello che rimarrà impresso sono i loro occhi, disperati, rassegnati, vendicativi o mentitori, le loro bocche serrate, minacciose o tremanti. Ciò che importa nella rappresentazione non è tanto il loro personaggio quanto il loro essere donna succube d’ un sistema di uomini che si combattono per un’effimera supremazia, o che si alleano per una competizione ai limiti della goliardia. La scena ci immerge a tratti nella nostra contemporaneità, in cui lo sforzo comunicativo tra diversi fa perdere il senso di ciò che viene detto- la trappola del multilinguismo- per questo l’esercizio di stile delle traduzioni simultanee, permesso ad alcuni attori, ricorda drammaticamente la sordità di alcune conversazioni della nostra Europa che vuole dialogare pensando che la reciproca comprensione dipenda dalla lingua in cui si parla e non da quello che veramente si vuole dire. Le Troiane diretto da Annalisa Bianco e Virgilio Liberti è un sorprendente (e studiato?) esempio di quanto l’attenzione alla forma e non al contenuto abbia in sé il pericolo di indebolire la comunicazione. Infatti quando le attrici sono lasciate libere di esprimersi nelle loro lingue, il senso di ciò che dicono arriva allo spettatore anche se non si comprende il portoghese o il francese, mentre il gioco di richiamare all’ordine in italiano, o di tradurre i discorsi in due o tre lingue, fa scemare la tensione che queste energiche e toccanti interpereti sono capaci di creare. Tra tutti Evelyne El Garbi Klai, Ena Fernandez e Flavia Gusmao arrivano in scena con una dirompenza tale da rendere inutile qualsiasi ulteriore elemento esplicativo: da sole ed incomprese ai più, riescono a manifestare la forza insita in ogni donna anche davanti ai suoi carnefici.

Serenella Martufi

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