venerdì 20 giugno 2008

Cantata per lo sposalizio del Principe di San Severo

I piedi delle statue de “La Pietatella” sono una cornice.
Fasce di muscoli protese ad ascoltare.
Organismi amorfi, senza peso si aggirano gli attori.
Il Cristo Velato scandisce il tempo e delimita gli spazi.
Ubbidendo alla sua stazza imponente, mi defilo. A lui la parola.

Cristo Velato: “Sono sempre onorato quando le folle non rimangono solo ad osservare la mia sottilissima veste ma si soffermano con me per condividere qualcosa. Ieri sera, appunto, si sono riunite intorno a me un centinaio di persone, e mentre ipotizzavo sull’evento e scrutavo i loro volti, sono stato sorpreso da un rullo di tamburi, fuori dalla mia vista, accompagnati poi da una piccola orchestra. Dopo, alcune figure hanno iniziato ad agitarsi nei miei pressi. Erano attori, ovviamente, questo l’ho capito dalle poche parole con cui hanno esordito. Ho ben presto intuito che si riferivano al Principe di Sansevero ovvero Giovanni Francesco Paolo di Sangro, il mio padrone di un tempo lontano. Tutto ciò era abbastanza usuale anche se era da molto che quest’uomo non veniva ricordato. Ciò che invece mi ha stupito è stato il corpo di questi giovani e i loro volti completamente nascosti da strati di bianco che li privavano di una qualsiasi forma fisica, di una qualsiasi plasticità. Dovete capire che qui dentro io sono abituato a osservare ogni piccolo dettaglio di ogni singolo corpo, e non solo il mio, ma anche delle statue che mi sovrastano. Ci guardiamo ormai da secoli, ci compiacciamo nel poter distinguere quasi ogni cellula, ogni osso. Non ho capito se tale scelta sia stata fatta per evocare forse un’epoca, ma era comunque molto d’effetto per il contrasto con la cappella e con le forme di noi che la abitiamo. Ho avuto la sensazione di essere circondato da fantasmi, da esseri che non parlavano col corpo ma solo con le voce.
Il principe mio era stato un uomo complicato, un uomo di fede, alcuni lo hanno definito illuminato: la musica grandiosa e irriverente che ho sentito alle mie spalle in qualche modo ricordava la sua essenza e la sua vita, imprevedibile, liturgica e spiazzante. In alcuni momenti anche i giochi onomatopeici e verbosi, ritmici e ironici dei due fantasmi attori lo evocavano; però poi ho evidentemente perso qualche passaggio perché in un attimo l’evocazione si è trasformata in imitazione, credo del suo tempo e della sua epoca, e sono arrivati frammenti di napoletano, molto simpatici certamente ma un po’ usurati persino per me che sto qua dentro. La sorpresa più grande è arrivata con l’apparizione di un Gesù Cristo, un altro plagio. All’inizio ho sorriso da sotto la mia sindone, crogiolandomi in riflessioni sulle contraffazioni, ma dopo un po’ questo Cristo ha iniziato un canto che mai fino adesso mi era stato attribuito, credo fosse un rap con sottofondo orchestrale, interessante, forse un po’ eccesivo nel contesto. Voglio dire: “illuminato” non per forza deve tradursi in “spregiudicato”. Quindi verso la fine ho iniziato a perdere di vista quello che veniva raccontato: tutti quei simboli, quegli elementi e quei corpi nascosti mi hanno confuso. Mi sono lasciato andare alla musica così intrigante, variata e suggestiva. Forse sarebbe bastata lei sola a raccontare la storia del principe di San Severo che mi ha creato”.

Serenella Martufi

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