venerdì 27 giugno 2008

Ceneri/ 2

Il giorno dispari di Lello Voce

"Non si preoccupino eccessivamente le signorine in sala, ma io in questo momento le sto toccando. Con la voce, ovviamente, ma la voce è qualcosa di solido, che raggiunge e attraversa il corpo. Se urlo il vetro inizia a tremare, la voce è materia e io la voglio usare così". La parola di Lello Voce fa quello che dice, incomincia a colare lentamente fascino e menare fendenti sulle educate teste pensanti di chi ascolta, sia nelle stanze di Palazzo Reale, nella linda e luminosa presentazione del mattino, sia nell'oscurità fumosa del Night Barocco della Certosa di San Martino, con la sua luce malata e angosciata, assediato dalle ceneri, ma soprattutto dalle colate laviche di un predicatore innamorato delle Ultime lettere di Jacopo Ortis. Sì, proprio Ugo Foscolo, quello degli eterni temi nelle classi di liceo, un big misconosciuto perchè visto sempre e solo attraverso strati multipli di letture scolastiche banali.
La sfida è parlare di quanto siamo tutti, profondamente, intensamente perfidi, senza nessuna pietà, soprattutto per noi stessi, uniti dalla "fratellanza della ferocia condivisa". "E sempre accadeva che un Corpo cadesse spossato e gli altri, scoperta la fratellanza della ferocia condivisa, gli si facevano intorno e lo finivano, e poi, senza che ancora una sola parola fosse pronunciata, lo sbranavano e se ne cibavano". Questo all'inizio dei tempi, nell'era precedente al ferro e al fuoco, ma ancora adesso: impegnati a mangiarci l'un l'altro, non riusciamo a parlare finchè la bocca è piena di brandelli, finchè prevale la logica del branco. Che poi il fagocitarsi si compia per opera di clave e zanne, attraverso uno stupro di gruppo o mediante una lenta opera di ricatto morale o materiale, poco cambia. Siamo comunque vittima di un prosciugamento di ossigeno, e di voglia di vivere, attraverso un'opera al nero al contrario, un'alchimia che riduce tutto in cenere invece di trovare l'oro della pietra filosofale. Vietato chiamarlo cannibale (si offenderebbe moltissimo) proprio perché lo è davvero, e disposto a condividere i suoi eroici furori, e le sue poche certezze: "Il poeta in fondo è un lavoro del cazzo, stare da solo mi dà angoscia, e siamo da soli non serviamo a niente. Pubblico non è una brutta parola, sono un animale sociale, non un librettista. E voi, fatela la fatica di uscire, anche solo per andare al cinema, non rassegnatevi alla solita cassetta nel lettore dvd sul divano di casa. Da soli, prima, durante e dopo" Ce l'ha con tutti, Voce con la v maiuscola, anche con i grandi romanzi, golosamenti portati a casa nel cellophane da chi vuole solo annusare il profumo di un'altra vita e di un'altra solitudine, e non ce la fa a rischiare davvero una vita propria. Abbasso la solitudine, l'autoerotismo (intellettuale e non), rischiate, abbiate la forza di essere vivi.







Silvia Guidi, lettera22

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