venerdì 27 giugno 2008

Ceneri/1

Padre Lubrano,

il Quentin Tarantino

del Seicento


Il grande inquisitore ha il sorriso docile e inerme di Silvio Orlando, ingessato da un'enorme gorgiera bianca a fisarmonica, infagottato in un pulpito gonfio di stoffe pesanti e broccato, ma il pubblico non ne accorge subito; prima c'è il buio morbido della Certosa di San Martino, la luce polverosa dei faretti che spinge gli sguardi rasoterra e li guida verso le volute dense di fumo che disegnano spirali e d ellissi barocche in movimento. Esattamente come i girali delle decorazioni alle pareti. Il fumo è la dimensione visiva della voce che abbraccia gli ascoltatori e si dissolve, avvolge e rivela, è l'immagine stessa del respiro che penetra nei polmoni e scompare, delle architetture debordanti delle frasi, appoggiate al basso ostinato della musica, all'angoscia della viola da gamba che più di tutti gli strumenti è in grado di clonare la voce umana. La chiesa non c'è più, o meglio, diventa per tre quarti d'ora qualcos'altro, probabilmente quello che doveva essere quando è stata pensata: una culla di buio scaldata dal bagliore del legno dorato al tremare delle candele, al guizzo incerto delle lampade, riccioli di marmo candido che invadono il vuoto a ondate di schiuma. L'”Inventario dei Beni temporali scritti nella Polvere”, il primo spettacolo dell'Assedio delle ceneri è davvero scritto dalla voce che parla dal pulpito nella luce polverosa che striscia lungo le pareti, stretta dal collare bianco a fisarmonica visto in mille ritratti dell'epoca a sfondo nero, è un tuffo nel terrore di morire che mescola ironia e danze macabre, delicatezze d'amore e nostalgie di feste e carnevali in piazza a descrizioni di cadaveri straziati dai cani, di morti bizzarre e ossessioni inverosimili, di ultime parole famose di potenti, regine e sovrani cancellati dalla tomba. Un Quentin Tarantino di fine Seicento, padre Giacomo Lubrano, regista abilissimo di scenari pulp e tempi comici perfettamente accordati. A fine spettacolo la gorgiera bianca è una barriera antisudore intrisa di fatica; Silvio Orlando ha ancora la forza di sorridere spiegando che non ha voluto spingere l'acceleratore sulla musica facile delle parole ma sul ragionamento, da un inizio innocente e un finale di sottile perfidia che, ironia della sorte, ha colpito lo stesso autore delle prediche. Nella realtà, non nella finzione: per uno strano contrappasso Giacomo Lubrano da vecchio è diventato balbuziente, Dio gli ha chiesto la povertà estrema, staccarsi da quel dono di affascinare le folle che lo aveva portato in tournèe in tutta Italia e oltre, in mille paesi dell'allora mondo conosciuto, fino a Malta. Il pubblico se ne va, spossato e felice, con in mente il ricordo del Depardieu-Marin Marais disfatto dal successo e dai soldi (indimenticabile per chi ha visto “Tutte le mattine del mondo” di Alain Resnais), annoiato dal lusso di Versailles, che ha venduto l'anima “per un po' di zucchero e qualche luigi”.

Silvia Guidi, lettera22

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