venerdì 27 giugno 2008

Storm/O al Reale Albergo dei Poveri

Dal nero dell’inizio non si distingue molto: il bianco che vibra al centro della scena è un seme di mela che si spacca per crescere, o una cellula che si divide in un embrione. Ma lo spazio bianco che pulsa e si muove sono anche due mani che intrecciano un tessuto, e le pinze incandescenti che stanno dando forma a un vaso trasparente di vetro soffiato. Dal buio, intanto, la musica sta dicendo emozioni più grandi; è sempre nascita, respiro, sguardo che si allarga, occhi che cercano qualcosa, volti ad uno spazio interno. Giuliana si serve di tutto: il respiro corto e veloce di una salita, le voci dei bambini che imparano a leggere, gli accordi della viola barocca e le architetture invisibili delle Follie di Spagna. Anche del timbro ricco e rassicurante della voce di Claudio Capone, il doppiatore di Beautiful, (è lui l’inventore della tenerezza lenta e trasognata di Ronn Moss, dell’entusiasmo giovane di Luke Skywalker in Guerre Stellari, dell’ironia lieve di Oscar Wilde e delle risate yankee di Don Johnson in Miami Vice). È sempre lui, la celeberrima voce fuoricampo di Super Quark, che spiega serenamente l’autocannibalismo degli alberi d’inverno, il macerarsi delle foglie che porterà sostanze chimiche preziose attraverso le radici appena risalirà la temperatura e il sole sarà meno basso all’orizzonte, la fatica segreta dei germogli che si nascondono sotto la corteccia, le mille venature invisibili della clorofilla, mentre Giuliana “indossa” una parte di bosco e danza lentissima e concentrata come una combattente ninja impegnata in un rito, nascosta in un vestito nero opaco che assorbe totalmente la luce, sotto una voliera-microcosmo pulsante di vita vera ma sognata, come in un quadro di Hyeronimous Bosch. “In un istante, l’incanto del mondo rinato agli occhi” c’è scritto sul foglietto fucsia e bianco che racconta Storm/O prima di passare davanti al grande quadrato nero che lo contiene. “Come succede in teatro, quando si apre la scena, sempre dopo l’inizio della musica. Restano aperte tutte le domande intorno a questa meraviglia”. Perché la musica dice emozioni più grandi; è sempre nascita, respiro, sguardo che si allarga, occhi che cercano qualcosa, volti ad uno spazio interno, e Giuliana ha trovato le immagini giuste per dirlo. Dal nero dell’inizio non si distingue molto: il bianco che vibra al centro della scena è un seme di mela che si spacca per crescere, o una cellula che si divide in un embrione. Ma lo spazio bianco che pulsa e si muove sono anche due mani che intrecciano un tessuto, e le pinze incandescenti che stanno dando forma a un vaso trasparente di vetro soffiato. Dal buio, intanto, la musica sta dicendo emozioni più grandi; è sempre nascita, respiro, sguardo che si allarga, occhi che cercano qualcosa, volti ad uno spazio interno. Giuliana si serve di tutto: il respiro corto e veloce di una salita, le voci dei bambini che imparano a leggere, gli accordi della viola barocca e le architetture invisibili delle Follie di Spagna. Anche del timbro ricco e rassicurante della voce di Claudio Capone, il doppiatore di Beautiful, (è lui l’inventore della tenerezza lenta e trasognata di Ronn Moss, dell’entusiasmo giovane di Luke Skywalker in Guerre Stellari, dell’ironia lieve di Oscar Wilde e delle risate yankee di Don Johnson in Miami Vice). È sempre lui, la celeberrima voce fuoricampo di Super Quark, che spiega serenamente l’autocannibalismo degli alberi d’inverno, il macerarsi delle foglie che porterà sostanze chimiche preziose attraverso le radici appena risalirà la temperatura e il sole sarà meno basso all’orizzonte, la fatica segreta dei germogli che si nascondono sotto la corteccia, le mille venature invisibili della clorofilla, mentre Giuliana “indossa” una parte di bosco e danza lentissima e concentrata come una combattente ninja impegnata in un rito, nascosta in un vestito nero opaco che assorbe totalmente la luce, sotto una voliera-microcosmo pulsante di vita vera ma sognata, come in un quadro di Hyeronimous Bosch. “In un istante, l’incanto del mondo rinato agli occhi” c’è scritto sul foglietto fucsia e bianco che racconta Storm/O prima di passare davanti al grande quadrato nero che lo contiene. “Come succede in teatro, quando si apre la scena, sempre dopo l’inizio della musica. Restano aperte tutte le domande intorno a questa meraviglia”. Perché la musica dice emozioni più grandi; è sempre nascita, respiro, sguardo che si allarga, occhi che cercano qualcosa, volti ad uno spazio interno, e Giuliana ha trovato le immagini giuste per dirlo.

Silvia Guidi, lettera22

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