mercoledì 18 giugno 2008

ENGLAND di Tim Crouch, con Paolo Coletta e Mercedes Martini. Regia di Carlo Cerciello

Non sarebbe forse possibile raccontare una struttura così complessa. Una rete in cui rimangono incastrati rapporti, sogni, desideri, dolori e delusioni. Non sarebbe giusto rendere lineare questo flusso continuo.

di Sergio Lo Gatto


PRIMEPAROLE. L'arte è universale. Guardate. Sono un riflesso di tutto il mondo in viaggio per mille specchi. Guardate. Da qui si vede tutto. E io dimentico di ogni punteggiatura. Basta punto. Non c'è spazio per l'ambiguità. Non è arte. Questo è come appariamo.

Queste le righe che questa penna, come a dire questo cuore, stillava, mentre “guardavamo”, appunto, “England” di Tim Crouch alla Changing Role Gallery. Il misterioso ingresso di una donna con cappello e occhiali scuri ci suggerisce che in quel luogo piccolo e caldo qualcosa di grande sta per accadere. Poi, come sangue che invade in silenzio piccola ferita, ecco sgorgare prima lei, poi lui.

Lei alle prese con il racconto di un amore totale, lui dal fare sufficiente ed ermetico, tutt'uno con le opere d'arte che per mestiere valuta e per tasche d'altri acquista. Immersi, noi con loro, nella considerazione del luogo, proprio quella Changing Role Gallery di Napoli che s'immagina invece essere a Londra - “da qui si vede la Tate Modern” -, trasformata in museo della solitudine di coppia. E tale resterà, che loro parlino o semplicemente guardino, noi saremo con loro ovunque vorranno portarci o farci guardare - “guardate!” -, ovunque.

Eleganti, annoiati e sexy, due inglesi perfetti sono i napoletani Paolo Coletta e Mercedes Martini. Asciutta e trascinante la scrittura dello scozzese Tim Crouch, tradotta con sapienza da Luca Scarlini e con forza diretta da Carlo Cerciello che, ci dice Coletta, ha voluto togliere ogni frivolezza alla recitazione dei due.

Arte dell'apparenza, sangue vivo della sostanza, soprattutto se dal difficile rapporto tra i protagonisti si cade sulla falce della morte, si parla di cuori trapiantati, si amano parole come cura, malattia, espiazione, dolore. È in ogni angolo, “England”, un trapianto perfettamente speculare, dal concetto di compravendita d'opere fino al colloquio – spinto avanti da un'efficacissimo dialogo con interprete – con la moglie del morto che ha donato il cuore a lei. Si parla di lei e di lui, nomi non si concedono volentieri, nel testo tutto appare come un flusso continuo interrotto da spazi. Ci si confonde spesso e volentieri su quale sia il momento narrato, quale lo spazio, ma mai su quale sia il senso, cuore che pulsa di inesorabilità, nello spazio angusto e caldo in cui, in fin dei conti, nulla si risolve. Magistrale. Davvero magistrale.

Sergio Lo Gatto

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