venerdì 20 giugno 2008

England

La spina dorsale dritta la testa
Piedi sicuri. Piedi rapidi
Gli occhi sgranati.
Immobile (parla?) la bocca.

L’arte per gli uomini. L’arte di un uomo. Una vita per l’arte. L’arte nel corpo, tra i polmoni, sopra e sotto il collo. L’ estetica sfida la vita, il valore dell’una, la relatività dell’altra. I materiali, i colori, le linee dettano legge sul corpi, sul cuore, sulle ossa. England di Tim Crouch, per la regia di Carlo Cerciello presso la galleria Mimmo Scognamiglio Artecontemporanea, tra le opere di Lucio Perone: la pelle a buon mercato, un baratto di cuore, un pezzo d’arte. Un quadro di un’Inghilterra ricca e frustrata, in cui vige il viaggio, le lingue, tante e intrecciate, l’esotico che non riconosce l’umano. “ Visioni” di un mondo oltreoceano a cui ci ispiriamo, un mito che da sempre c’impone soggezione. C’è arte, “guardate!”. C’è Londra, ci sono storie di gente che conta. Il candore e le collane, gli spazi per chi è stato selezionato, arriva sicuro di capire, di avere gli strumenti, di essere adatto alla situazione, all’altezza. Ma il linguaggio schizza, fugge, cerchiamo di acchiapparlo, capire una trama, rincorrere i personaggi e le loro variabili. C’è ‘lei’, una donna ed è sicuro che è la ragazza, è bionda, gli occhi rigidi e tesi, azzurri potrebbe essere inglese. Un corpo che da statico lo vediamo malato. Mercedes Martini, evoca l’Inghilterra, nella voce, nelle mani nascoste in tasca, impassibile alla gente ad un metro di distanza. Coerente, britannica. ‘Lui’, americano multilingue, importante; sa come muoversi, sistema, assicura, gestisce le vendite e le vite nell’arte. La sua ragazza non può scivolare fuori dalla cornice vicino al Tamigi, immacolata, moderna, dinamica. Non c’è spazio per l’errore, il graffio di un quadro “Don’t touch it girl!”. Non toccare la tela, la struttura, l’impalcatura. I corpi dei personaggi celati da Daniela Ciancia, schegge di nero, di stoffa, di metallo e di viola. Un’idea, un’ispirazione che lusinga chi indossa e chi guarda, un bel clima insomma, appariamo tutti intenditori. Se l’arte esiste vuol dire che ad ogni cosa c’è soluzione, non ci sarebbe spazio per i colori se alla vita fosse concesso di irrompere, di mischiare le tempere, i toni e le tecniche. Il ragazzo non crea ma vende, sa muoversi, è lei ad essere inadeguata, un destino disorganizzato. ‘Lui’ è lì, ma non è nell’attore, Paolo Coletta, è astratto, di difficile comprensione, mette a dura prova il bianco e le linee dritte di quello spazio preciso. Esiste il disordine. Rigore in lotta perenne con l’espressione affastellata, la sofferenza nei movimenti, nell’ispirazione. I contrasti piombano addosso a chi guarda, crollano i miti, i gioielli d’oltreoceano. Perle che cadono a terra e minacciano chi vive, chi guarda, chi interpreta. Il pericolo che qualcosa inciampi, che qualcuno cada o graffi il valore di quello che è esposto. Non si tratta solo di quadri.

Serenella Martufi

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