venerdì 20 giugno 2008

Indigo

I muscoli della donna. I muscoli dell’uomo.
La luce sul corpo. La luce del corpo.
Un ventre che accoglie.
Una curva protesa.
Un volto affogato.

Il maschio e la femmina s’incontrano, si cercano, si allontanano, litigano e si baciano. La supremazia assoluta del corpo, della pelle, dei tessuti. Sei danzatori in Indigo per la coreografia di Paco Decina, in cui fasci di luce disegnano i corpi, li delineano, ed essi a loro volta sfruttano il riverbero per raccontare la loro storia, epopea d’amore, di disagio, di paura, di riluttanza ed infine di conciliazione. Lo spettatore è sequestrato dal fascino del tempo che si dilata, viene trascinato in un contesto a lui sconosciuto, cadendo prontamente nella trappola della poesia. Nell’idea che anche chi non si sta muovendo sul palco ha in sé un nucleo romantico, un nucleo artistico. I danzatori si muovono in silenzio, sembrano piume che intrecciandosi narrano la loro vicenda, che poi è anche nostra: la necessità di avere qualcuno di essere amato, di temere l’esterno. La colonna sonora con musica composta da Xavier Klaine ce lo ricorda costantemente: la voce di Ruth Rosenthal, bellissima, grida disperazione e ripete incessante il bisogno di avere qualcuno o qualcosa che giustifichi il nostro esistere, che ci dia un’appartenenza. La commozione deriva dal riconoscersi debole, impossibilitato a rimanere solo, come quelle dita, quelle mani, quelle schiene che si cercano, continuando i movimenti gli uni degli altri. La solitudine terrorizza, il baratro del singolo; ogni arto, ogni pezzetto di pelle, i capelli, tutto ha bisogno di essere echeggiato, di confidare in un proseguo. La paura della morte forse, della fine, dell’oblio. E dunque i sei danzatori si sostengono a vicenda, scrutando le difficoltà dello stare in piedi. Ognuno cerca, aspira alla verticalità ma ne è terrorizzato, perché essa sancirebbe la solitudine, l’autonomia, troppo ingombrante per un solo corpo. Quando il tempo li costringe a camminare da soli la leggerezza si perde, sembra subentrare la pazzia, l’angoscia di essere scissi, inesorabilmente soli, mentre il metronomo corre e prospetta una fine. Mille direzioni e nessuna, per l’esplorazione di un sentimento dell’ angoscia per il contatto, per l’affetto, per l’amore, forse. Ed è la ricerca intima di ognuno che più affascina in questa danza di gruppo, di compagnia. Ogni respiro calibrato sul corpo del singolo che toccando i compagni crea un polmone comune, il motore di un’orchestra, in cui non c’è inizio e non c’è fine, un cerchio da cui non si può uscire. Individualità diverse che funzionano insieme, un amalgama di peculiarità. Giunti tra loro si difendono e si sostengono, da soli capiscono e decidono.

Serenella Martufi

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