venerdì 20 giugno 2008

Nuove Sensibilità 13/06/08

Dita deformi.
Mani impegnate.
Braccia agitate.
Una scultura di spalle.
Una vita appesa alla forza di un collo.

Cinque corpi teatrali emergenti. Cinque volontà di movimento. Cinque scelte di comunicazione.
Alla prima serata di Nuove Sensibilità lo spettatore viene travolto. Deve seguire il percorso alternato tra la sala di sopra e la sala di sotto del NuovoTeatroNuovo, cinque minuti d’intervallo, viene tutto accelerato: la decompressione, la possibilità di riflettere e di assorbire. Potrebbe essere solo una questione di allenamento, serve un pubblico con tanto fiato, un pubblico scelto, consapevole e teatralmente intelligente. Per addetti ai lavori insomma, per chi a teatro resiste, per chi capisce, per chi sa cosa c’è dietro. Interessante sicuramente, forse un po’ stonato rispetto al luogo in cui ci si trova, estraniante dal contesto, un tappeto rosso fuorviante. Le compagnie sono giovani, e dunque ci si aspetta un’ atmosfera di apertura (di umiltà) e di volontà di far conoscere il teatro anche a chi non ci è cresciuto dentro, anche a chi lo considera un posto lontano, un posto in cui non si è ben accetti, un posto che “non lo capisco”.

M. Minotaurus per la regia di Ivan Dell’Edera c’immette in un gioco di luci, di busti incastrati, di moli ingombranti che danzano dentro e fuori il mito del mostro, del labirinto e della sua donna. Lei ci si presenta gigante, accogliente ma eterea come il tempo a cui fa riferimento. Una partoriente di stoffa, poi amante squassata dall’imponenza del mostro. La scena è suggestiva con movimenti spasmodici e tonfi di carne. Un quadro violento e violentato.

L’era dei pesci per la regia di Riccardo Festa propone anch’esso un gioco di luci ed un gioco di tempo, un esterno ed un interno, un allora ed un oggi, un io, un loro, un noi. Quattro attori che quasi giocando si affidano il compito di essere narratori. Belle le voci alternate ed echeggiate, belle le dita che scrivono sulla terra, bella la lettera che ci viene raccontata. Giochi ed allusioni ci fanno ridere ci ricordano che si sta parlando anche di noi, che la storia insegna e che si ripete, forse però questo lo si sapeva già.

Cronache da un tempo isterico per la regia di Armando Pirozzi ci riporta nella sala grande, i due attori sono sul palco, tesi ed occupati prima, impazziti ed esagitati poi. L’amore acuto e reticente. L’isteria, la maniacalità, la teatralità pressante. Si ammicca dicendo “atteggiamento didascalico” e parlando della “coerenza del personaggio”, simpatico certo; tempi e spazi chiari e netti, paranoie, equivoci e toni. Regolare insomma.

Minotaurus Freak Circus per la regia di Giovanni Dispenza ci acchiappa, ci costringe a guardare: anche noi possiamo agire. Sforzarci di capire. Abbiamo il privilegio di essere turbati e rapiti. Sorpresi ammaliati, disgustati, affascinati. Il pubblico è accolto ed è considerato, è scrutato, è osservato, è provocato. La bravura e la coerenza del gruppo, gli permettono di poter sfidare lo spettatore sul percettivo e sull’intellettivo. Tutto il corpo è preso in considerazione, un organismo narrante. Ad ognuno è affidata una parte del racconto: un ruolo per gli occhi, uno per la bocca, per il collo, per le spalle, le gambe, la pancia, i piedi, le punte delle dita. Per la seconda volta nella serata ritroviamo il Minotauro; il mostro questa volta è mutevole, è intricato, leggiadro e tremendo, violento, pentito, nasce ed è carcassa, è carnefice ed ammazzato. Il presupposto del circo agevola la quantità di elementi che possono essere introdotti in scena, permette una spettacolarità acrobatica ed una fisicità finora senza pari: un disegno di corpi agili, violenti, leggeri ed eleganti. Solo la reiterazione a volte è un rischio, i movimenti, gli scambi ed i rapporti sono così tesi, chiari ed umani che non hanno bisogno di essere spiegati o sottolineati.

Il santo per la regia di Roberto Pappalardo si ferma tra la “cassa” del patrono e le uscite della suora. Un episodio ecclesiastico divertito, che però si esaurisce presto. Lasciandosi dietro una retorica un po’ scabrosa, chicchi di riso, ed allusioni al peccato ed al già conosciuto.

Serenella Martufi

Nessun commento: