venerdì 27 giugno 2008

“Pantagruel”

IL CORPO DI CROSTA. AMEN.


di Tommaso Chimenti Bencini


NAPOLI – Nella voracità domestica e bulimica un gruppo di sacerdoti-chirurghi con grembiule da chef, l’abbuffarsi di vita, per rigenerarla, ha il sapore di laboratorio con dottori matti, il tocco esotico di Dracula nella costruzione dell’uomo nuovo, di novelli Frankenstein. Questo “Pantagruel”, firmato da Silviu Purcarete, viene infatti dalla Romania. Mense imbandite da “Ultima Cena”, con troppi apostoli, allievi da “Classe morta”, che diventano tavoli operatori e l’autopsia è uno smembramento intestinale che porta in superficie, uno svuotamento come da dentro la pancia dello squalo collodiano, metraggi di colon in versione salsiccia, cervelli-cavolo lesso, testicoli-uova. Tolti, sottratti, mangiati con gusto davanti agli ex possessori senza anestesia in un contrappasso dantesco. Tutto viene accuratamente assaggiato in una sorta di cannibalismo scientifico come se fossero dentro agli studi sui cadaveri di Leonardo da Vinci. L’humour nero, macabro e viscerale da Hansel e Gretel pervade tutta la piece, fotografica ed estetizzante, che alterna momenti di placidità a tratti di animalità confusionaria, accompagnata da un pifferaio magico che fa raggiungere l’orgasmo, piacevole e doloroso, alle fanciulle più sensibili, soverchiati da coreografie in stile Fantasia blasfema con centinaia di cucchiai, saltellanti e scintillanti come pesce azzurro ancora guizzante sulla banchina, usati come batteria, armi, scettri o calamite. E’ un processo post mortem, il passo prima della reincarnazione. La magia porta alla trance di litanie e liturgie di una giungla urlante di uccelli, cavalli al galoppo, sbraiti di scimmie e ruggiti di felini, di rituali raccapriccianti di questa setta miracolosa, di questo manipolo di studiosi maledetti in cripta, da “Nome della rosa”, rinchiusi in questo scantinato sotterraneo, in questo cimitero offuscato agli occhi dei vivi, prelati da messe nere, ministri di un culto pagano, cannibale e feroce che loda l’obitorio come altare fino alla creazione, divina e terrena, sovrannaturale e concreta, intenti nella realizzazione di un uomo, prima mummificato e “incompiuto” nell’accezione michelangiolesca, un essere nuovo, buono da informare come il pane da spezzare e deglutire come “corpo di Cristo”.

Nessun commento: