venerdì 27 giugno 2008

Rivieccio one man show

Riecco il caro vecchio avanspettacolo, il fine dicitore alla Nino Taranto, il cabaret di prima classe che spazia dalla macchietta alla sociologia. Stavolta il domatore di pubblico si chiama Gino Rivieccio e non David Letterman, ma lo studio millimetrico dei tempi comici e delle reazioni del pubblico in sala è lo stesso. Trent'anni di esperienza non bastano per diventare in automatico il rabdomante della risata altrui, serve una gavetta composita e multilivello lombardo-partenopea-pugliese che unisce il lavoro con i Gufi di Nanni Svampa negli scantinati di Milano al blues alle cime di rapa e il Rocco e Rollo di Tony Santagata. Non basta neanche il giro del mondo in ottanta dialetti e il fascino indiscreto della parodia: per salire nell'Olimpo del Cabaret Aulico (così lo chiama Rivieccio citando autori, maestri, mostri sacri e compagni di strada) serve anche la fenomenologia del cellulare, la critica della ragion pratica del navigatore satellitare, oltre ad un'ampia e variegata casistica che potremmo indicare come "antropologia della cena fuori". In mezzo ai tavoli il cameriere-sociologo ruba gesti e frasi fatte mentre assegna i tavoli e porta il conto e poi disegna i tipi da commedia dell'arte che popolano ristoranti e pizzerie: il mossiere, il magnanimo, l'indeciso, il lamentoso cronico, la moglie risentita, l'inappetente che ruba dai piatti degli altri, il bimbo isterico. C'è pure una specie di grammelot itagliese (il pedigree è quello del fine dicitore, come dicevamo, l'acrobata del monologo impossibile e il giocoliere delle sillabe; non a caso lo spettacolo d'esordio di Gino ricordava la boccata di ossigeno liberatoria finale, "Ciak, si aspira"). Importante il contesto, la scatola di impalcature metalliche e cartongesso che si riempie di parole, musica, sindaci, signore che sperano nel rinfresco postdebutto, applausi a raffica: il teatro della Villa Comunale è foderato all'esterno da foto d'epoca di Raffaele Viviani, Edoardo Scarpetta, Pupella Maggio e i fratelli De Filippo, Isso, Issa e O' Malamente (un Viviani giovanissimo, con una faccia da schiaffi unica ed inimitabile) provenienti dagli archivi teatrali napoletani, i padri della patria del palcoscenico locale. Torna anche l'occhio di bue dell' one man show vecchio stile, e la singer nera che improvvisa voli di jazz sui classici della canzone napoletana (proprio i classici classici, anche Era de Maggio, anche le tenere ruffianerie di Aurelio Fierro) per dire con i colori della voce che ci sono dei giganti a cui si può appoggiare qualsiasi sperimentazione, anche nella musica.

Silvia Guidi, lettera22

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